Le mie riflessioni sulla tecnologia e sul ruolo e la funzione della tecnica partono dalla lezione di Ludovico Geymonat, il quale osservava che la tecnica è contro il dogmatismo e contro l’idea che la razionalità della natura sia qualcosa di assoluto, immodificabile, dato una volta per sempre. Egli, infatti, sottolineava che “la consapevolezza che non esista una conquista scientifica definitiva e quindi non rivedibile, non modificabile […] avvicina molto la scienza alla tecnica. Nella tecnica non possiamo mai dire: abbiamo l’aereo perfetto ! Il prossimo aereo sarà migliore; ci sarà cioè uno sviluppo”. La tecnologia è, costitutivamente tensione verso il futuro  e capacità di guardare al qui e ora,  all’effettuale, attraverso la lente della contingenza e del possibile.

Proprio in questo senso essa è tutt’altro che neutrale, nel senso, generalmente banale, in cui tale termine viene solitamente usato. La tecnologia è pensiero, e pensiero necessariamente critico, orientato verso il costante superamento dei limiti raggiunti.

Anche per questo essa presuppone, anzi è costitutivamente, interazione, cooperazione, scambio dialogico, negoziazione. Se nessun artefatto si fonda su principi intangibili e irrevocabili, alla base della tecnologia vi sono ipotesi che possono e devono essere discusse e fondate esse stesse, e vanno cambiate e sostituite con altre, qualora risultino inadeguate. Questo carattere provvisorio e continuamente perfettibile e revocabile dei suoi risultati ne fa, anche in questo caso contrariamente all’idea corrente della sua autoreferenzialità,  un sistema aperto, basato su  un tipo di ragionamento e su punti di vista e modalità di scelta che non possono essere localizzati in un unico sistema considerato autosufficiente, ma che  hanno invece luogo concorrentemente in più sistemi intercomunicanti e legati da una relazione dialogica.

Non a caso la caratteristica fondamentale di quella che oggi viene usualmente chiamata la “società della conoscenza” è quella di mettere quanto più possibile e nel modo più rapido ed efficiente in comunicazione persone o gruppi di persone e di considerare il know-how e le competenze tecniche come risultati che emergono e vengono sviluppati nell’ambito di un processo di interazione e di condivisione all’interno di sottogruppi e di reti di cooperazione intersoggettiva. Questa impostazione sta influenzando lo stesso modello di innovazione, che non viene più visto come processo lineare che procede attraverso passi ben definiti, bensì alla luce di un modello “chain-link”, secondo il quale le idee innovative possono provenire da diverse sorgenti e si affacciano con tanto maggiore facilità e ricchezza quanto più queste sorgenti (ricerca scientifica, ovviamente, ma anche nuove tecniche di produzione, nuove esigenze di mercato ecc.) vengono poste in comunicazione reciproca.

In questo modo la macchina viene ad assumere un nuovo ruolo: non più, o non soltanto, mediatore dei processi di conoscenza, interfaccia tra il soggetto e l’oggetto di quest’ultima, modello cui quest’oggetto si deve conformare per essere compreso e assimilato, ma elemento di attivazione e di moltiplicazione di un sistema di relazioni e di scambio di informazioni e comunicazioni sempre più esteso, ricco e articolato tra soggetti diversi.

Le strategie di scambio dialogico non costituiscono però soltanto il campo di applicazione degli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: esse penetrano sempre più, e in modo sempre più costitutivo nelle trama e nella struttura interne di queste tecnologie fino al punto da costituirne uno dei cardini fondamentali. Basta pensare al fatto che ormai la produzione degli artefatti si sta sempre più orientando verso prodotti non vincolati a una sola destinazione d’uso, ma studiati in modo da favorire al massimo il passaggio da una modalità di funzionamento e di utilizzazione all’altra e un dialogo costruttivo tra progettista e destinatari.

Viene così spezzato il nesso che tradizionalmente associa a una data infrastruttura tecnologica fisica una specifica applicazione o, al più, un insieme ristretto di applicazioni. La rete telefonica analogica era stata progettata e realizzata in funzione della necessità di trasportare a distanza e distribuire comunicazioni bidirezionali audio: le caratteristiche delle tecniche di commutazione di circuito su cui essa è basata rispondono all’esigenza di fornire adeguate garanzie di qualità a tale tipologia di comunicazione.

Internet fornisce, al contrario, un servizio generale di trasporto di bit  che può essere utilizzato per costruire una pluralità di applicazioni di alto livello (la posta elettronica, il trasferimento di files,  il world wide web,  le videoconferenze e quant’altro), le quali sono totalmente svincolate dalle caratteristiche della sottostante infrastruttura fisica. Lo sviluppo di nuove applicazioni non richiede così modifiche nella rete, né l’evoluzione tecnologica di quest’ultima richiede una ridefinizione delle caratteristiche delle applicazioni in atto.

Questa rottura del legame tra infrastruttura  e applicazioni ormai non è più un’eccezione, ma tende a diventare  la regola. Essa vale anche nel caso degli artefatti, che tendono a svincolarsi sempre di più da un uso specifico o da uno spettro limitato di usi. Si pensi, tanto per fare un esempio ormai familiare a tutti, ai personal computer, intesi come combinazione di hardware e software, che sono macchine altamente “aperte” e si presentano come sistemi per cui vengono continuamente create nuove applicazioni, cosicché si adattano sempre meglio alle situazioni  variabili in cui le persone si trovano ad usarli. Inoltre i loro pacchetti software garantiscono livelli di apertura ancora crescenti (la posta elettronica, ad esempio, da una parte “apre” sempre più il calcolatore personale alla comunicazione, dall’altra si apre essa stessa ad una sempre più alta integrazione con il sistema operativo).

Gli artefatti che compaiono nella nostra vita di tutti i giorni e incidono profondamente in essa sono inoltre sempre più caratterizzati da un tratto distintivo, la molteplicità, che riguarda la loro capacità di essere o diventare diversi in situazioni diverse e di mutare quando cambia il contesto del loro uso. Il divano-letto e tutti gli elementi di arredo multifunzionali sono ad esempio parzialmente molteplici rispetto a condizioni diverse di uso. Ma anche su questo terreno è con lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con l’avvento degli artefatti elettronico-digitali, che questa caratteristica viene sviluppata al massimo. I calcolatori consentono infatti di personalizzare il formato con cui documenti, informazioni, strumenti si presentano a un utente, per cui si configura un qualche cosa (un documento oppure un sistema di scrittura) che è insieme uguale e diverso per ogni utilizzatore. Ma anche le moderne fotocopiatrici, quando hanno un funzionamento per qualche aspetto difettoso, usano il display dei loro comandi per indicare diagnosi e prognosi, e mutano dunque i loro protocolli di comunicazione a seconda che di fronte a loro ci sia un utente oppure il manutentore.

Versatilità, flessibilità, plasticità, superamento delle barriere tradizionali tra differenti modalità d’uso sono dunque le caratteristiche dei moderni prodotti della tecnologia, che proprio per questo appaiono sempre più irriducibili a definizioni e pratiche semanticamente conchiuse.

Un’altra questione sulla quale sto concentrando la mia attenzione è la sempre maggiore convergenza tra naturale e artificiale, in particolare tra i processi cerebrali e gli artefatti. Le mie riflessioni su questo aspetto hanno preso avvio da un saggio del 1922 dal titolo Organoproekcija (La proiezione degli organi) del filosofo, teologo, matematico e ingegnere russo Pavel Florenskij, il quale propone stimolanti riflessioni sulla circolarità tra “macchine interne” e “macchine esterne”, cioè tra organismi naturali e artefatti, tra vita e tecnologia. In particolare egli osserva che la tecnica spiega la vita perché quest’ultima, a sua volta, spiega gli artefatti e le macchine.

Letta in questa chiave, quella tra la vita e la tecnica si configura come una relazione in virtù della quale la prima si esprime, si conosce, si modifica tramite la seconda, che a sua volta si sviluppa ripercorrendo alcuni degli itinerari già seguiti dal processo di evoluzione della vita medesima.

L’interesse di questa intuizione di Florenskij sta nel fatto che essa poneva la questione della relazione tra vita naturale e vita artificiale non semplicemente e non tanto in termini di rappresentazione, quanto in termini di un parallelismo e di una reciproca proiezione, in virtù dei quali l’una poteva essere considerata il reagente per la conoscenza dell’altra. Che questa conclusione non possa essere considerata soltanto il frutto del pensiero astratto di un filosofo relativamente lontano da noi nel tempo e nello spazio ce lo dice con forza uno scienziato a noi vicino in entrambi i sensi, profondo conoscitore della biologia e della genetica, il quale scrive che: “via via che si comprendono meglio i meccanismi operanti nel corpo e nella mente, diviene sempre più evidente che la natura ha adottato da tempo alcuni accorgimenti tecnici che la nostra tecnologia più avanzata è andata scoprendo negli ultimi tempi. Concetti come quelli di codificazione digitale, di calcolo parallelo e distribuito, di schemi logici fuzzy e di nanotecnologia, che ci sono divenuti familiari da poco, appaiono giocare da sempre un ruolo fondamentale in moltissimi processi biologici. Anche in questa circostanza le conoscenze tecniche ci hanno aiutato a capire più a fondo i meccanismi biologici e questi hanno a loro volta messo in luce la convenienza e l’efficienza di certe scelte tecnologiche”.

Qui, come si vede, vengono espressi, con parole diverse e riferendosi, ovviamente, ad aspetti assai più recenti i medesimi concetti di Florenskij. Su questa base anche Boncinelli non solo prospetta, ma considera già pienamente in atto “un incontro fra le macchine realizzate dall’uomo e le macchine naturali, quale si può osservare nella costruzione e nell’impianto di protesi bioingegneristiche, di sussidi sensoriali e più in generale di apparecchi e presidi clinici sempre più efficienti e raffinati che sono spesso quasi invisibili”.

Da questo incontro sta progressivamente emergendo una nuova idea di macchina, modellata più sulle “macchine interne”, naturali, che su quelle “esterne”, artificiali. Si tratta di uno spostamento e di una variazione di significato non di poco conto, dato che “le macchine naturali non sono state costruite pezzo per pezzo, né tanto meno combinate successivamente fra di loro a formare organi e organismi. Ce le troviamo come già date, montate e combinate in un organismo complesso e per definizione indivisibile. Anche nel suo farsi durante lo sviluppo embrionale, l’organismo procede come un tutto unico con le diverse strutture che maturano di conserva, più o meno allo stesso tempo, una qui una là. Questo perché il piano di lavoro, portato dal genoma di ciascun organismo, non contiene capitoli separati per i suoi diversi meccanismi biologici, ma fornisce informazioni globali per la costruzione e il funzionamento dell’organismo stesso, nel quale solo il nostro occhio distingue parti separate e meccanismi specifici”.

La differenza fra biologico e meccanico è dunque rilevante: “le macchine sono fisse, mentre le strutture biologiche sono di giorno in giorno in continua trasmutazione. Una struttura biologica può anzi essere definita come uno spaccato temporale di una funzione, essendo costituita di sottostrutture e di molecole che cambiano in continuazione per la sostituzione subdola e incessante degli atomi che le compongono. Resta ferma o quasi, in sostanza, la forma funzionale di una struttura biologica, ma non l’insieme degli atomi che la compongono”.

Oggi anche questa differenza rilevata da Boncinelli solo sette anni fa si sta ulteriormente attenuando, grazie alle applicazioni del Digital manufacturing, cioè ai sistemi integrati, basati su computer e sulle ICT, che comprendono strumenti di simulazione, visualizzazione tridimensionale (3D), analisi e collaborazione, con la finalità di creare simultaneamente le definizioni del prodotto e del processo produttivo, col risultato che la progettazione degli artefatti viene ormai realizzata non più per fasi e suddividendo in maniera analitica un pezzo complesso qualunque in componenti da realizzare separatamente e assemblare successivamente, bensì attraverso una strategia complessiva basata sullo scambio di informazioni relative al prodotto e la stretta collaborazione fra i gruppi di progettazione e di produzione.   Si hanno così sistemi che consentono agli ingegneri di sviluppare la definizione completa di un processo produttivo in un ambiente virtuale e di effettuare la simulazione dei processi produttivi allo scopo di riutilizzare le conoscenze disponibili e ottimizzare i processi prima che i prodotti vengano fabbricati.

 

Qui di seguito le Pubblicazioni:

1. Il potere staliniano e l’intelligencija tecnico- scientifica, in A. Natoli e S. Pons (a cura di), L’età dello stalinismo , Editori Riuniti, Roma, 1991, pp. 211-238;

2. La tecnica e i suoi valori,  ‘Nuova civiltà delle macchine’, 1996, n. 1-2, pp. 52-66;

3. Epistemologia del cyberspazio,  Demos, Cagliari, 1997;

4. Macchine al limite del sé,  ‘Il Cannocchiale’, 2, 97, pp. 13-34;

5. La dimensione culturale e i valori della tecnica, ‘ Annuario di Filosofia’, Leonardo Mondadori, Milano, 1998, pp. 116-139,

6. Multimedial Languages,  (in collaborazione con G. Usai), ‘Politica Internazionale’, No. 1/2, January-April 2001, pp. 201-208;

7. L’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’insegnamento scolastico,  ‘TD’, 2001, n.3, pp. 16-25;

8. Scienza e tecnologia: l’etica e l’artificiale,  in C. Botti e F. Rufo (a cura di), Bioetica:discipline a confronto, Ediesse, Roma, 2002, pp. 255-284;

9. Ludovico Geymonat: la tecnica come pensiero critico,  in ‘Nuova Civiltà della macchine’, anno XXI, n°1, 2003, in Ludovico Geymonat, filosofo del rinnovamento,  a cura di S. Tagliagambe, pp. 118-154:

10. Cultura classica e cultura tecnologica: un dialogo possibile, in U. Cardinale, a cura di, Essere e divenire del “Classico” , UTET, Torino, 2006, pp. 64-89:

11. B. Antomarini-S.Tagliagambe (a cura di), La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij, Franco Angeli, Milano, 2007;

12. La tecnica come proiezione degli organi e il mondo intermedio, in B. Antomarini-S.Tagliagambe (a cura di), La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij , Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 58-88;

13. Cultura classica e cultura tecnologica: un dialogo possibile, in U. Cardinale, a cura di, Nuove chiavi per insegnare il classico,  Utet, Torino, 2008, pp. 238-264:

14. La relazione naturale/artificiale tra rappresentazione, ibridazione, organizzazione, in M.C. Amoretti, a cura di, Natura umana Natura artificiale,  Franco Angeli, Milano, 2010, pp. 195-216;

15. Scuola e nuove tecnologie  ‘Italianieuropei’, 3, 2012, pp. 83-90.