Le mie ricerche nel campo della letteratura e dell’arte e del rapporto tra i loro linguaggi e quello della scienza si sono concentrate, in particolare, sulla cultura russa.

Un primo filone di studi in questo ambito riguarda l’orgine e il significato dell’idea di «cronotopo», definito da Bachtin come l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente, il risultato, cioè, del processo, complicato e discontinuo, attraverso il quale la letteratura si è impadronita del tempo e dello spazio storici reali e dell’uomo storico reale che in essi si manifesta.

Nel cronotopo letterario .ha luogo la fusione dei connotati spaziali e temporali in un tutto dotato di senso e concretezza. Il tempo qui si fa denso e compatto e diventa artisticamente visibile; lo spazio si intensifica e si immette nel movimento del tempo, dell’intreccio, della storia. I connotati del tempo si manifestano nello spazio, al quale il tempo d. senso e misura. Questo intersecarsi di piani e questa fusione di connotati caratterizza il cronotopo artistico.

È dunque fuori di dubbio che ci si trovi qui di fronte a una nozione specifica di spazio che circola nel pensiero estetico, e in particolare nella letteratura e nelle teorizzazioni critiche che la caratterizzano: che tuttavia le analisi che ne scaturiscono non siano forzatamente confinate a questo orizzonte teorico ed esclusive di esso lo attesta il fatto, riconosciuto dallo stesso Bachtin, che le riflessioni da lui elaborate in proposito sono anche il frutto delle suggestioni e degli echi della relazione del fisiologo di A. A. Uchtomskij, esponente della grande scuola di Ivan Michajlovič Sečenov (1829-1905) ed allievo di Nikolaj Evgen’evič Vvedenskiji, sul cronotopo nella biologia, nella quale furono toccati anche problemi di estetica.

Abbiamo dunque qui un primo esempio concreto e significativo di rapporto tra gli studi letterari e quelli scientifici, aspetto di cui mi sono occupato anche per quanto riguarda la relazione tra la filosofia aristotelica, la retorica e la scienza contemporanea e la lettura della Divina Commedia operate dal teologo, filosofo e matematico russo Pavel Florenskij applicando all’organizzazione dello spazio che Dante descrive e alla costruzione cosmica di cui la sua grande opera è espressione i risultati della teoria della relatività generale e della geometria non euclidea, in particolare della geometria ellittica di Riemann.

La legittimità di questa applicazione viene sostenuta da Florenskij attraverso un esempio tratto dal canto XXXIV dell’Inferno, a proposito del quale egli scrive:

“Passato questo limite, il poeta arriva alla montagna del Purgatorio e sale poi attraverso le sfere celesti. Il problema è: seguendo quale direzione? Il cammino sotterraneo dal quale sono saliti è quello segnato dalla caduta di Lucifero, gettato giù dal cielo con la testa in avanti. Perciò il luogo dal quale è caduto non si trova da qualche parte in cielo, nello spazio che circonda la terra, ma proprio dalla parte dell’emisfero da cui sono giunti i poeti. La montagna del Purgatorio e Sion, diametralmente opposti tra loro, sono sorti come effetto di quella caduta e la via al cielo segue la linea della caduta di Lucifero, ma in senso inverso. Così Dante va sempre dritto e nel cielo è rivolto con le gambe verso il luogo della sua discesa. Guardando dall’Empireo alla gloria di Dio egli si trova insomma senza tornare indietro a Firenze (…) Andando avanti secondo una linea dritta e voltando solo una volta, il poeta torna nel luogo di prima nella stessa posizione in cui era partito da essa. Perciò, se non avesse invertito il cammino lungo la strada, arriverebbe direttamente al luogo della partenza con le gambe in alto. Questo significa che la superficie sulla quale si muove Dante è tale che il movimento in linea retta con un solo cambiamento di direzione permette di tornare al punto di partenza nella posizione dritta e il movimento dritto senza inversione riporta il corpo rovesciato al punto di partenza. E’ evidente che questa superficie:

Che include linee chiuse e diritte, è una superficie ellittica;
E poiché inverte la direzione della linea ad essa perpendicolare, è una superficie a una sola faccia.
Queste due circostanze sono sufficienti per caratterizzare geometricamente lo spazio dantesco come spazio costruito secondo una geometria ellittica (…) Nel 1871 F. Klein ha dimostrato che la superficie sferica ha il carattere di una superficie a due facce, mentre quella ellittica è una superficie a una sola faccia. Lo spazio dantesco è appunto simile a quelle ellittico. Questo getta una luce inattesa sul modo in cui nel Medioevo era concepito il mondo. In base al principio della relatività questa considerazioni geometriche di carattere generale hanno avuto da poco una inaspettate conferma concreta”.

Il nesso tra i linguaggi della letteratura e dell’arte, da una parte, e i linguaggi delle scienze, dall’altra, viene ribadito e approfondito analizzando le novità che la meccanica quantistica ha introdotto per quel che riguarda il passaggio da una semantica per un verso di tipo a-contestuale, basata cioè sull’esigenza di isolare l’oggetto di studio dall’ambiante di cui fa parte e di descriverlo e analizzarlo separatamente rispetto a esso, e, per l’altro analitico e composizionale, ricalcata cioè su quella che Donald Davidson ha definito la «building blocks theory», ossia la dottrina semantica che esplica il senso di un enunciato, riconducendolo alla somma dei significati delle sue componenti elementari, a una semantica olistica, basata sulle caratteristiche olistiche del formalismo quantistico. Queste caratteristiche sono dovute al fenomeno dell’ intricazione, che ci pone in presenza di un oggetto composto: lo stato di questo oggetto composto è puro (una informazione massimale) e determina gli stati delle parti, che non possono essere puri. L’attribuzione del significato va quindi dal tutto (stato puro dell’oggetto composto) agli stati delle sue parti.

Dunque Oggi si comincia a capire come il misterioso fenomeno di intricazione quantistico possa avere anche delle applicazioni logiche interessanti per descrivere fenomeni di olismo e di contestualità semantica. Le teorie semantiche tradizionali, fondate sulla logica classica, sono anti-olistiche e analitiche. Infatti, in queste teorie, vale un principio generale di composizionalità secondo cui il significato di una espressione composta deve essere determinato dai significati delle sue parti. E i significati vengono descritti sempre come precisi e non ambigui. Tutto questo fa sì che la semantica classica sia difficilmente applicabile a un’ analisi adeguata delle lingue naturali o dei linguaggi dell’ arte, dove aspetti olistici, contestuali e ambigui hanno un ruolo fondamentale. Nell’ ambito del formalismo quantistico, invece, si possono creare stati di conoscenza entangled, dove l’ informazione intorno al tutto determina le informazioni contestuali intorno alle parti. E, in generale, risulta impossibile invertire il procedimento, ricostruendo l’informazione globale come combinazione di informazioni parziali sugli elementi componenti. È come se, una volta rotto nei suoi pezzi, il puzzle non potesse più ricomporsi ricreando l’ immagine originaria.

Ciò apre nuove e interessanti prospettive per quanto riguarda la relazione tra scienza, letteratura e arte.

Un ultimo filone delle mie ricerche in questo campo riguarda l’analisi del romanzo, e in particolare di quelli di Dostoevskij, come forma artistica. Alla base di questa analisi vi è la convinzione che ogni opera letteraria sia internamente, immanentemente sociologica. In essa si incrociano le vive forze sociali e ogni elemento della sua forma è pregno di vive valutazioni sociali. Perciò anche la l’analisi puramente formale deve prendere ogni elemento della struttura artistica come punto di rifrazione delle vive forze sociali, come un cristallo artificiale, le cui facce sono costruite e polite in modo da rifrangere determinati raggi delle valutazioni sociali e di rifrangerli con un determinato angolo. L’opera di Dostoevskij è per lo più stata oggetto di una trattazione e di una interpretazione angustamente ideologiche. Ci si è interessati soprattutto della ideologia che ha trovato la sua espressione immediata nelle enunciazioni di Dostoevskij o, più esattamente, dei suoi eroi. L’ideologia, invece, che ha determinato la sua forma artistica, la sua costruzione romanzesca estremamente complessa e assolutamente nuova, finora è rimasta praticamente in ombra.

In Dostoevskij l’intreccio è del tutto privo di qualsiasi funzione compiente. Il suo fine è quello di porre l’uomo in varie situazioni che lo svelino e lo provochino, fare incontrare e scontrare le persone tra loro, ma in modo che esse non restino nell’ambito di questo contatto di intreccio e vadano al di là di esso. I veri legami cominciano là dove il consueto intreccio finisce, dopo avere svolto la sua funzione accessoria. In sostanza, tutti gli eroi di Dostoevskij si incontrano fuori del tempo e fuori dello spazio, come esseri nell’illimitato. Si incrociano le loro coscienza con i loro mondi, si incrociano i loro orizzonti totali. Nel punto di intersezione dei loro orizzonti si trovano i momenti culminanti del romanzo. E’ in questi momenti che stanno le giunture della totalità romanzesca. Esse sono extraromanzesche e non rientrano in alcuno degli schemi di costruzione del romanzo europeo. Quali sono queste giunture? Si tratta, come ha osservato Bachtin, “della combinazione delle parole autorevoli che gli eroi dicono su se stessi e sul mondo, parole che sono provocate dall’intreccio, ma che si sistemano dentro l’intreccio”.

Le Pubblicazioni su questo tema:

1. L’origine dell’idea di cronotopo in Bachtin, in A.A.V.V., Bachtin teorico del dialogo, Franco Angeli, Milano, 1986, pp. 35-78;

2. Mondi possibili e teoria del dialogo, in Bachtin, teorico del dialogo, cit.;

3. Il sosia e il dominante , in E. Funari (a cura di), Il doppio. Tra patologia e necessità, Raffaello Cortina, Milano, 1986, pp. 219-268;

4. Il problema del cronotopo in Bachtin, ‘Bollettino del centro internazionale di storia dello spazio e del tempo’, 1986, pp.29-52;

5. Solipsimo e amore in Dostoevskij e Uhtomskij, in P. Follesa (a cura di), Psicoanalisi: l’eros, Borla, Roma, 1987,pp. 134-167;

6. La semantica dei mondi possibili: lettura del “Cavaliere inesistente” di Italo Calvino, in G. Cerina ( a cura di), Leggere il romanzo, Bulzoni, Roma, 1988, pp. 9-44;

7. Filosofia aristotelica, retorica e scienza contemporanea, ‘Nuova Civiltà della macchine’, 1994, n.1, pp. 167-191;

8. Letteratura ed etnologia: i presupposti di un possibile rapporto, in G. Marci (a cura di), Scrivere al confine. Radici, moralità e cultura nei romanzieri sardi contemporanei , CUEC, Cagliari, 1994, pp. 25-47;

9. Creatività, ‘Atque”, N.12, 1996, pp. 25-46;

10. Il sequestro dell’identità, CUEC, Cagliari, 1997;

11. Simbolo e confine. Goethe e la cultura russa, in G. Giorello e A. Greco (a cura di), Goethe scienziato, Einaudi, Torino, 1998, pp. 91-121;

12. Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002;

13. L’organizzazione spaziale della “Commedia” e il suo significato filosofico, in F. Tateo e D. M. Pegorari, Contesti della “Commedia”. Lectura Dantis Fridericiana, Palomar, Bari, 2004, pp. 199-254;

14. Inconscio e conscio in Dostoevskij, ‘Atque’, n. 27/27, 2004, pp. 17-64;

15. Genesi e dintorni del concetto di spazio, in ‘Moderna’. Semestrale di teoria e critica della letteratura, IX, 1-2007, pp. 27-44;

16. Leonardo Sinisgalli e la “violazione dei confini”, ‘Nuova Civiltà delle Macchine’, I, 2010, pp. 161-174;

17. La svolta semantica. I luoghi della convergenza tra scientia e humanitas oggi, in R. Cirino. A. Givigliano, a cura di, Filosofia e scienza. Percorsi di ricerca e spazi di discussione, Aracne, Roma, 2010, pp. 13-45;

18. The Task and Function of the Translator, in P. Barrotta- A.L. Lepschy, Translation: Transfer, Text and Topic, Guerra Edizioni, Perugia, 2010, pp. 15-26;

19. S. Tagliagambe , G. Giannotta, Racconto mitico, spazio teatrale e sogno, in A. Malinconico (a cura di), Il sogno in analisi e i suoi palcoscenici. Drammatizzazioni, gioco e figurazioni, Edizioni Ma.Gi, Roma, 2011, pp. 19-69;

20. Sinisgalli e la “violazione dei confini”, in S. Morelli e F. Vitelli, a cura di, Il guscio della chiocciola, Studi su Leonardo Sinisgalli, Edisud, Salerno, 2012, pp. 23-29.