Le mie riflessioni nel campo della filosofia dell’economia sono dirette, in primo luogo, a sostenere le ragioni di un’epistemologia della condivisione basata sulla difesa delle ragioni dello scambio dialogico. In questo libro si propone una difesa epistemologica ed ermeneutica delle ragioni del dialogo. Adottando una prospettiva evolutiva ho cercato di indagare i presupposti (ontologici, epistemologici, etici) e conseguenze (conoscitive, sociali, economiche, politiche) del dialogo, con l’intento di fare di quella in favore del dialogo una scelta non solo epistemologica, ma anche etica. Per difendere il dialogo, infatti, occorre, in primo luogo, contrastare ogni presunzione di onniscienza; e, in secondo luogo, combattere la pretesa di poter possedere un criterio di giustizia assoluto, sulla base del quale poter giudicare le posizioni altrui.

Un ulteriore presupposto di quella che ho chiamato l’epistemologia della condivisione è una chiara opzione in favore della possibilità di comprendere le ragioni altrui, anche se appartenenti a mondi distanti dal nostro, evitando di considerare le culture come cornici incommensurabili, non comprensibili e non giudicabili da coloro che sono estranei alle forme di vita e agli stili di pensiero che le caratterizzano.

Un altro aspetto dei miei studi nel campo della filosofia dell’economia è la critica dell’individualismo metodologico e, in particolare, del presupposto, da cui esso prende avvio, che la comprensione delle azioni degli attori sia il momento essenziale di ogni analisi sociologica. Questo tipo di approccio, nella versione che ne fornisce, ad esempio, Hayek, stabilisce infatti che per spiegare un fenomeno sociale lo si debba considerare come una conseguenza aggregata di azioni di singoli individui, e che dobbiamo comprendere queste azioni come risposte adattative date da varie categorie di attori alla loro situazione.

Alla base di esso vi è pertanto la convinzione che la conoscenza rilevante ai fini dell’azione sociale sia fatta soprattutto di informazioni particolari di tempo e di luogo: queste sono sparse, frastagliate, frammentate tra gli individui, ciascuno dei quali possiede le sue conoscenze delle circostanze particolari di tempo e di luogo che gli consentono di effettuare le scelte corrette. Questo tipo di informazioni non possono essere “convogliate” in un’unica mente centrale, gestite e controllate da essa. “Esiste”, come scrive appunto Hayek, “un corpo di conoscenza molto importante ma non organizzata che non può essere per nulla definita scientifica nel senso di conoscenza di regole generali: la conoscenza delle circostanze particolari di tempo e di luogo. Rispetto a queste praticamente ogni individuo ha un vantaggio sugli altri in quanto possiede una informazione unica, di cui può essere fatto un uso benefico, ma della quale si può fare uso solo se le decisioni che dipendono da questa sono lasciate a lui o sono prese con la sua collaborazione attiva”. Tale conoscenza, per sua natura, “non può entrare nelle statistiche e quindi non può essere veicolata ad una autorità centrale in forma statistica”.

Da questi passi traspare in modo particolarmente diretto ed evidente quella che, a mio parere, è una delle debolezze di fondo del discorso di Hayek: la convinzione della completa equivalenza e interscambiabilità tra conoscenza di dati e informazioni e loro organizzazione, per cui l’idea che non vi possa essere una mente o autorità centrale in grado di disporne si trasforma, automaticamente, nella sottovalutazione della funzione e dell’importanza delle strutture attraverso le quali l’informazione medesima può venire aggregata, filtrata, indicizzata, interpretata a un livello centrale, in una parola organizzata in modi che ne possano rendere più agevole la fruizione anche da parte dei singoli agenti.

Così, pur individuando nell’epistemologia il nucleo centrale dei suoi insegnamenti economici Hayek è indotto a “depotenziare”, per così dire, questa sua notevole intuizione originale, sottovalutando il significato che ai fini di un’analisi così orientata deve avere, l’articolazione del discorso in livelli differenti e, in particolare, non riconoscendo lo spazio e l’importanza dovuta alle strutturazioni secondarie, che si formano al metalivello. Ciò vale sia per quanto riguarda il discorso relativo alle teorie, dove si tende a privilegiare la concezione linguistica tradizionale, rispetto all’impostazione strutturale, che per molti aspetti sarebbe in maggiore sintonia con l’orientamento generale di Hayek, sia per quel che concerne l’analisi dei sistemi sociali e delle organizzazioni in cui essi si articolano.

A questo tipo di riflessioni si lega l’analisi delle conseguenze dell’irruzione della complessità nella teoria economica con la crescente presenza e incidenza di sistemi caratterizzati dall’emergenza di comportamenti collettivi regolati da leggi non facilmente deducibili dall’esame delle leggi che controllano ciascuno dei singoli costituenti. Come sottolinea Giorgio Parisi, che ha studiato, ricavandone risultati di grande rilievo, un particolare esempio di sistemi complessi, i “vetri di spin”, “una comprensione profonda del comportamento di questi sistemi sarebbe estremamente importante. In questi ultimi anni l’attività si è concentrata su sistemi composti da un gran numero di elementi di tipo diverso che interagiscono fra di loro secondo leggi più o meno complicate in cui sono presenti un gran numero di circuiti di controreazione, che stabilizzano il comportamento collettivo. In questi casi, rileva Parisi, “un punto di vista riduzionista tradizionale sembrerebbe non portare da nessuna parte. Un punto di vista globale, in cui si trascuri la natura delle interazioni fra i costituenti, sembra anch’esso inutile in quanto la natura dei costituenti è cruciale per determinare il comportamento globale. La teoria dei sistemi complessi che si vorrebbe costruire, ha un punto di vista intermedio: si parte sempre dal comportamento dei singoli costituenti, come in un approccio riduzionista, ma con in più l’idea che i dettagli minuti della proprietà dei componenti sono irrilevanti e che il comportamento collettivo non cambia se si cambiano di poco le leggi che regolano la condotta dei componenti. L’ideale sarebbe di classificare i tipi di comportamenti collettivi e di far vedere come al cambiare delle componenti un sistema rientri in questa classificazione. In altri termini i comportamenti collettivi dovrebbero essere strutturalmente stabili (nel senso di Thom) e quindi suscettibili di classificazione, ahimè ben più complicata di quella fatta dallo stesso Thom nella sua opera del 1975 Stabilità strutturale e morfogenesi”.

Questa impostazione, molto ragionevole e che tra l’altro ha condotto, come detto, nell’ambito della meccanica statistica, a risultati di grande rilievo, tende a evidenziare i limiti e la parzialità delle due posizioni contrapposte che vengono assunte circa il problema del rapporto parte/tutto: la tendenza a cercare di determinare un comportamento globale trascurando la specifica natura delle interazioni fra i costituenti, da una parte, e quella opposta, che si ferma a questi ultimi. Si profila dunque un “punto di vista intermedio”, come lo definisce lo stesso Giorgio Parisi, secondo il quale il rapporto tra i vari “livelli” di descrizione della realtà non è solo di “analisi dall’alto” e di “emergenza dal basso”. L’irrilevanza dei dettagli minuti della proprietà dei componenti, accompagnata dall’idea che il comportamento collettivo non cambia se si cambiano di poco le leggi che regolano la condotta dei componenti, sembra infatti sancire chiaramente un minimo di autonomia di questo comportamento collettivo rispetto ai micro-fenomeni e alle leggi che si riferiscono ad essi. Da qui a postulare che il macrosistema costituisca un’entità di tipo e di livello diverso in rapporto a questi ultimi, il passo non sembra né troppo lungo, né azzardato. Come non sembra azzardato trarre, su queste basi e da queste premesse, la conclusione che non siano solo i micro-fenomeni a creare i macro-fenomeni emergenti, ma vi sia anche una determinazione inversa, in virtù della quale il macro-fenomeno fenomeno emergente influisca sul comportamento dei suoi propri costituenti, in un rapporto co-evolutivo fra micro e macro. Questa conclusione, ovviamente, autorizza il riferimento a un livello di teoria concernente il macrosistema, e le nozioni e le leggi di sua specifica pertinenza, con un proprio vocabolario, che parla appunto di esso e di ciò di cui si compone e in cui si articola.

Le Pubblicazioni su questo tema:
1. Postneopositivismo e crisi della modernità, ‘Annali della Facoltà di Economia e commercio di Cagliari’, Franco Angeli, Milano, 1991, pp. 9-42.
2. Economia ed etica nei sistemi aperti , in L. Infantino (a cura di), Etica della solidarietà ed economia di mercato, ”Quaderni del centro di Metodologia delle scienze sociali della LUISS’, Borla, Roma, 1994, pp. 91-134;

3. Teoria della complessità in economia, “I Temi”, maggio 1995, pp. 47-70;

4. 68) Postfazione a A. Huber (a cura di), Territorio, sito, architettura, Lybra Immagine, Milano, 1995, pp. 282-297;

5. Dibattito epistemologico e scienze sociali: note per una discussione, in G. Sabattini (a cura di), Economia al bivio. Seminari sui fondamenti dell’economia politica, Franco Angeli, Milano, 1995, pp. 35-60;

6. L’economia al bivio. Le scienze economico-sociali tra soliloquio e dialogo, in G. Sabattini (a cura di), Economia al bivio, cit., pp. 284-320;

7. ll dibattito su federalismo e autonomia in Sardegna: dal Piano di Rinascita ad oggi, in U. Collu, a cura di, Il federalismo tra filosofia e politica, Centro per la filosofia italiana- Fondazione Costantino Nivola, Nuoro, 1998, pp. 185-236;

8. Le istituzioni e la modernità. Gramsci e il tempo, in Gramsci e il Novecento, a cura di G. Vacca, vol. I, Carocci, Roma, 1999, pp. 213-231;

9. Hayek e l’evoluzionismo: un approccio metodologico, ‘Annali della Facoltà di Economia di Cagliari’, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 21-63

10. Von Hayek e l’evoluzionismo: un approccio metodologico, in G. Clerico e S. Rizzello (a cura di), Il pensiero di Friedrich von Hayek, UTET, Torino, 2000, pp. 5-48;

11. Gli aspetti etici del problema dell’innovazione, in G. Ardrizzo (a cura di), Governare l’innovazione. La responsabilità etica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, pp, 29-67;

12. Organizations and Work in the 21st century: Global, European, State and Local Issues Discussed, in R. Leoni e G. Usai (editors), Organizations today, Palgrave MacMillan, New York, 2005, pp. 331-344;

13. Prefazione a G. Sabattini, Capitale sociale, crescita e sviluppo della Sardegna, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 9-33;

14. Estategar: principi basilari per l’elaborazione di una teoria strategica, ‘FISEC-Estrategias’ Revista académica del Foro Iberoamericano sobre Estrategias de Comunicación – Facultad de Ciencias Sociales de la Universidad Nacional de Lomas de Zamora, Año III, Número 6, Vdossier, pp.3-130- ISSN 1669- 4015 (09-04-2007) URL del Documento :http://www.cienciared.com.ar/ra/doc.php?n=605 URL de la Revista :http://www.fisec-estrategias.com.ar

15. Lo sviluppo creativo dell’individualismo metodologico, in R. De Mucci-K. Leube, a cura di, Un austriaco in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp. 211-223.