Le mie ricerche di urbanistica partono dalla critica dell’illusione terapeutica dello spazio (propria anche del Movimento Moderno) secondo la quale “il miglioramento dell’ urbs determina il miglioramento della civitas”.

Si tratta di un’illusione, in quanto l’urbs in realtà peggiora proprio in seguito a questa perdita del suo rapporto con la civitas. Anche quest’ultima a sua volta, a causa del retaggio del comando controllo, della pianificazione sinottica, razional-comprensiva, ha subito effetti tutt’altro che positivi, diventando passiva, frammentata, cristallizzata

Perdendo il rapporto con il luogo e con la comunità che lo abita la città rischia sempre più di diventare non-place.

Occorre dunque recuperare questo rapporto, perché non può esserci una smaterializzazione e una despazializzazione dei corpi: la perdita del luogo come contesto determinante di costumi, abitudini, mores produce, come inevitabile conseguenza, la perdita del complesso dei significati che trasformano uno spazio fisico in un contesto denso di valori e con una forte valenza simbolica.

Questo tentativo di recupero di un rapporto con il luogo viene spesso compiuto in modo equivoco, che mostra tutte le patologie di una falsa relazione: estetizzazione, tematizzazione, segregazione, scomposizione, genericità sono alcune delle patologie risultanti da questo tipo di approccio. Il rapporto con il luogo viene così falsato, non è dialogico, ma analogico, in quanto caratterizzato da forme di annullamento e assorbimento della città nel territorio, senza alcuna distinzione, col risultato che la città perde qualunque autonomia, non ha una funzione proattiva e diventa una sorta di parco tematico, luogo dell’abbandono e della nostalgia, una “città senza città”, una non-città, un simulacro di città, una sorta di teatro Kitsch, in cui viene messa in scena la distanza incolmabile tra la città desiderata e la città possibile, o meglio, la città reale).

La domanda alla quale si cerca di rispondere, e che costituisce il leitmotiv dei miei studi in questo ambito, alcuni dei quali condotto in collaborazione con Giovanni Maviocco, è che cosa bisogna fare, allora, per recuperare la città, per costruire un nuovo ed effettivo rapporto tra urbs e civica, anche se in modi differenti da quelli tradizionali?

L’idea di fondo che viene esplorata e proposta è che dopo esser partiti dall’urbs per progettare la città – come ha fatto tutta la tradizione disciplinare – è giunto il momento di seguire il percorso inverso.

Il divorzio tra urbs e civica, come detto, ci ha tuttavia lasciato una civitas dispersa, una cittadinanza passiva e segmentata, priva della fluidità necessaria per trovare forme di coesione sociale più adeguate alle esigenze del progetto della città. Per riattivare la civica occorre alla prendere le mosse dalle situazioni dove questa fluidità sociale esiste ancora, dove sono presenti embrioni di civitas, cellule staminali di cittadinanza che si manifestano con pratiche sociali inedite,

Queste situazioni sono gli spazi intermedi, che emergono e si manifestano in molte forme, dove il confine tra urbs e civitas non si presenta più sotto forma di linea di demarcazione che separa, ma prende forma e consistenza, diventando una spazio di relazione e di comunicazione a due facce, una rivolta verso gli spazi fisici e l’altra verso spazi di possibile coesione sociale, una sorta di «interfaccia» che associa questi due spazi, anziché separarli. Spazi come terrains vagues, periferie, banlieue, ma anche spazi della città che sono in attesa di altri significati, dove emergono e si sperimentano pratiche sociali dello spazio non convenzionali e modi originali di possibile coesione sociale e di forme di vita in comune.

In questi spazi, proprio per queste loro caratteristiche, il progetto può intervenire con politiche inedite, radicali, innovative, non convenzionali, dalle quali possono scaturire figure socioterritoriali e strutture di implementazione delle politiche, dove la ricerca è orientata più che verso i soggetti, in direzione di modalità di strutturazione, che conducono sia a figure a geometria variabile su specifici campi problematici, sia a «consolidati sociali» che aprono nuove prospettive istituzionali

Si tratta di figure operative che danno luogo a una dimensione cooperativa, interattiva e connettiva del progetto della città, e nelle quali hanno un ruolo tutte le dimensioni e le articolazioni della conoscenza (esperta, empirica, argomentativa, narrativa, ecc.).

In questo tipo di prospettiva è cruciale il ruolo dei soggetti senza voce o soggetti di confine, che abitano appunto negli spazi intermedi, e che comprendono persone e «oggetti di confine»), ovvero oggetti concreti o astratti, con diversi significati in diversi mondi sociali, la cui creazione e gestione diviene un aspetto chiave per lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni di coerenza tra mondi sociali che si intersecano e si modificano. Sono marginali, ma costituiscono tutte le minoranze della città, di una città che non ha più maggioranza, nel senso che non ha più una rappresentanza sociale che la esprima e la caratterizzi nella totalità dei suoi aspetto, o almeno nella maggior parte di essi.

Occorre allora assumere il concetto di minoranza come punto di vista esterno ma produttivo, efficace e significativo: quello, ad esempio, degli immigrati o dei bambini o degli anziani, ecc. che ci consente di vedere la città con occhi nuovi e quindi di progettarla in modo inedito. Compito delle minoranze è quello di facilitare «derive» e «traslazioni» nelle categorie descrittive, interpretative e operative con l’intento di scardinare qualsiasi metafora «implementativa», intesa come passaggio in qualche modo lineare di una politica dalla pianificazione all’attuazione.

Inoltre il progetto della città oggi non può non tener conto anche della sempre maggiore consapevolezza della persona in quanto unità di corpo e mente, di cognizioni ed emozioni, consapevolezza che ha ormai definitivamente messo in crisi quello che Antonio Damasio, in un’opera che ha giustamente avuto un’eco profonda, ha chiamato “l’errore di Cartesio”, vale a dire quella separazione drastica fra materia e psiche, fra res extensa e res cogitans, fra emozione e intelletto che per secoli è stato un principio teorico e speculativo considerato inviolabile, nonché un criterio ispiratore della ricerca anche in campo urbanistico. Oggi la realtà si sta rivelando profondamente diversa. In particolare le affascinanti indagini sul cervello attualmente in corso orientano in tutt’altra direzione.
Alla base di questa diversa prospettiva vi è la riscoperta dell’importanza cruciale delle emozioni e dell’intelligenza emotiva da parte di scienziati pur distanti da una particolare attenzione nei confronti della psicologia e della filosofia. Edoardo Boncinelli, autore in costante contatto con gli studi più avanzati di neuroscienze, di cui è uno dei massimi esperti a livello internazionale, in uno dei suoi ultimi libri, intitolato significativamente Mi ritorno in mente. Il corpo, le emozioni, la coscienza[1], scrive ad esempio: “… la percezione è sempre finalizzata all’azione, ma l’azione non ci può essere senza una motivazione o un’ aspettativa positiva. La percezione e la mente cognitiva ci suggeriscono ‘come’ compiere un’azione; l’emotività ci dà una ragione per compierla e ci spinge a farlo. La cognizione e la ragione si comportano come gli argini di un fiume in piena, ma l’affettività è la gravità della sua massa d’acqua. Noi siamo prima di tutto il fiume e secondariamente gli argini, anche se la nostra evoluzione culturale ha teso a richiamare la nostra attenzione più su questi ultimi, non fosse altro perché le loro vicende si prestano meglio a essere raccontate e tramandate. Noi esseri umani abbiamo sviluppato molto il nostro lato cognitivo, arrivando a coltivare la ragione se non una razionalità spinta, ed è giusto che prendiamo tutto ciò molto sul serio. Occorre però ricordare che la ragione ci aiuta a vivere, ma non ci motiva a farlo. Nessuno di noi vive per motivi razionali bensì perché siamo… ‘portati’ a vivere….. e per vivere bisogna voler vivere…. E questo la mente computazionale e la ragione non lo possono garantire. Vale anche la pena di sottolineare che abbiamo individuato diverse aree cerebrali impegnate nella gestione dell’ affettività, ma nessuna devoluta alla razionalità: è questo in sostanza il corpo estraneo» – e nuovo – presente in noi, non le emozioni”.
Questa nuova consapevolezza è efficacemente sintetizzata, con felice intuito, da Gregory Bateson in una conferenza dal titolo Forma, sostanza, differenza, tenuta il 9 gennaio 1970 per il diciannovesimo Annual Korzybski Memorial, nella quale egli dava la seguente risposta alla domanda: “Che cosa intendo per ‘mia’ mente?”: “La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo; essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. […] La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di mente verso l’interno, fino a includervi l’intero sistema di comunicazione all’interno del corpo (la componente neurovegetativa, quella dell’abitudine, e la vasta gamma dei processi inconsci). Ciò che sto dicendo dilata la mente verso l’esterno”.

Sulla base di essa occorre anche concepire l’azione sociale come proiezione del corpo (il corpo si proietta per andare incontro agli altri, per questo è già, costitutivamente, azione sociale) e sviluppare un approccio al luogo come una nuova corporalità, in cui il progetto è azione sociale intesa appunto come proiezione del corpo. Attraverso quest’azione sociale interattiva si costituiscono nuovi soggetti urbani (città ad alta densità) e territoriali (città a bassa densità) e nuove figure di implementazione delle politiche)

Si delinea così per la città una forte dimensione autodiretta del progetto e della costruzione, in cui la politica ha il compito di far emergere valori condivisi e di dar luogo a nuove istituzioni, mentre la civitas si articola in strutture generative sociali che stimolano e favoriscono una strutturazione sociale – anche inedita e a geometria variabile – della città. A sua volta l’urbs si organizza in strutture generative spaziali – che attengono ai processi e non ai soggetti –, che formano la strutturazione spaziale della città.

[1] E. Boncinelli, Mi ritorno in mente. Il corpo, le emozioni, la coscienza, Longanesi, Milano, 2010.

Qui di seguito le pubblicazioni relative al tema:

La crisi delle teorie tradizionali di rappresentazione della conoscenza, in G. Maciocco (a cura di) La città, la mente, il piano. Sistemi intelligenti e pianificazione urbana, Franco Angeli, Milano, 1994:
Postfazione a A. Huber (a cura di), Territorio, sito, architettura, Lybra Immagine, Milano, 1995, pp. 282-297;
“L’urbanistica, la complessità e la “dematerializzazione”, in E. Scandurra e S. Macchi (a cura di), Ambiente e pianificazione. Lessico per le scienze urbane e territoriali, Etas Libri, Milano, 1995, pp. VII-XXXII;
Etica come attaccamento ai luoghi ed etica come superamento delle barriere spazio-temporali, ‘I Temi’, 4, dicembre 1995, pp. 49-76;
Le premesse di un’epistemologia dell’interdisciplinarità, in G. Maciocco ( a curadi) La città in ombra, Pianificazione urbana e interdisciplinarità, Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 67-97;
La città possibile, ( in collaborazione con G. Maciocco), Dedalo, Bari, 1997;
Reti di città e processi di modernizzazione, in G. Mura, A. Sanna, Paesi e Città della Sardegna, CUEC, Cagliari, 1999, pp. 103-113
Che cosa significa etica della pianificazione nelle organizzazioni complesse, in G. Maciocco, G. Deplano e G. Marchi, Etica e pianificazione spaziale, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 98-133;
Desolate Lands, desolate Minds: the therapeutic function of the project, ‘Plurimondi’: An International Debate on human settlements, n. 3, 2000, Wastelands, Dedalo, Bari, pp. 29-46;
L’architettura e l’ambiente come risorsa, in G. Maciocco-P. Pittaluga (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 30-50;
Postfazione-Postface, in F. Spanedda, a cura di, Progetti di territori-Projects for territories, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 220-235;
Il progetto come risultato di un programma di ricerca, ‘Territorio’, 28, 2004, pp. 121-128;
Epistemologia della condivisione, in M. Bertoldini, A, Campioli, A. Mangiarotti, a cura di, Spazi di razionalità e cultura del progetto, Clup, Milano, 2004, pp. 89-129;
Le due vie della percezione e l’epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano, 2005;
Figure della mancanza, in ΤΟΠΟΣePROGETTO. La mancanza, Gangemi, Roma, 2006, pp. 91-104:
La visione e l’interpretazione del rudere, in B. Billeci, S. Gizzi, D. Scudino, Il rudere tra conservazione e reintegrazione, Gangemi, Roma, 2006, pp. 179-184;
Dall’intelligenza individuale all’intelligenza connettiva, in M. Bertoldini, a cura di, La cultura politecnica 2, Bruno Mondadori, Milano, 2007, pp. 17-32;
L’epistemologia del progetto come cultura della complessità, in M. Bertoldini, a cura di, La cultura politecnica 2, Bruno Mondadori, Milano, 2007, pp. 117-151;
“Landscape as a regenerative structure of a fragmented territory”, in G. Maciocco (ed.) Urban Landscape Perspectives, Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York. 2008, pp. 61-78;
“The dilation of the concept of inhabit and the city/territory relationship”, in Maciocco G.(ed.) TheTerritorial Future of the City, Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, 2008, pp. 27-46;
Maciocco G., Tagliagambe S., People and Space. New Forms of interaction in City Project, Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg, New York, 2009;
The Tourist City, the Dream and the Reversal of Time, in G. Maciocco-S. Serreli (Eds), Enhancing the City. New Perspectives for Tourism and Leisure, Spinger, Dordrecht, Heidelberg, London, New York, 2009, pp. 85-106;
Città e spazio pubblico. Organizzazione delle reti e nuove conoscenze, in C. Altini, a cura di, Democrazia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, il Mulino, Bologna, 2011, pp. 413-447;
“Strategie per la riqualificazione urbana”, in ‘Territorio’, Rivista trimestrale del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, Nuova serie, n. 56, 2011, pp. 7-13;
Rischi e valori dell’urbanistica oggi, in M. Angrilli, a cura di, L’urbanistica che cambia. Rischi e valori.XV Conferenza Società italiana degli Urbanisti, Franco Angeli, Milano, 2013, pp.40-61;
La città e le nuove modalità di costruzione degli spazi pubblici, in L.M. Plaisant, a cura di, I luoghi della vita, Edizioni Della Torre, Cagliari, 2013, pp. 63-100;
Ruolo e qualità del progetto, in V.M. Corte, Entanglement nell’architettura. Il progetto per il complesso monumentale del san Nicolò a Trapani come Case History, Aracne, Roma, 2013, pp. 383-451;
“Presentazione” di R. Raiteri, Progettare progettisti. Un paradigma della formazione contemporanea, Quodlibet Studio, Macerata 2014, pp. 9-23;
“To design is to design oneself”, City, Territory and Architecture 2014, 1:8, (16 May 2014), ISSN: 2195-2701 (electronic version), http://www.cityterritoryarchitecture.com/content/1/1/8;
“To design is to design oneself”, City, Territory and Architecture 2014, 1:8, (16 May 2014), ISSN: 2195-2701 (electronic version), http://www.cityterritoryarchitecture.com/content/1/1/8;
) La novità e il successo di un progetto formativo. Il caso della Facoltà di Architettura di Alghero, in E. Cicalò, a cura di, Progetto, ricerca, didattica. L’esperienza didattica di una nuova Scuola di Architettura, Franco Angeli, Milano, 2014, pp. 45-67.